domenica 9 maggio 2010

Ho fallito. Nel giorno del suo sedicesimo compleanno, non sono riuscita a convincere uno dei miei alunni più brillanti e sensibili, che lasciare la scuola per suonare in una rock band è una cazzata di quelle che rischiano di rovinarti a vita.

"Tu cerchi sempre di salvare il mondo", mi rimproveri.

Certo che è difficile avere sedici anni, l'età in cui legalmente si interrompe l'obbligo scolastico.

Ero una ribelle, a quell'età, ma abbastanza nei canoni; le ribellioni serie, le rivoluzioni, sarebbero venute mooooolto dopo.
A sedici anni avevo tre ragazzi: uno mi annoiava, uno mi intrigava, uno una volta mi ha dato uno schiaffo alla stazione (quiz: indovinare, prego, quale ho sposato...?). Ma giocavo soltanto, avevo la testa piena di letteratura e di pessima musica pop, e gli occhi pieni del riflesso del mare in un giorno sereno.
Erano gli anni in cui, in quest'angolo di mondo privilegiato, credevamo che il peggio fosse alle spalle, che non ci sarebbe mai stata un'altra guerra, che l'economia si sarebbe espansa all'infinito.
La sera in cui compivo sedici anni, tornando a casa da una festa in cui mi ero divertita molto (tanto da dimenticare i miei atavici problemi con la matematica), trovai una collana, un filo d'oro di tre colori, e un mazzo di sedici rose rosa. Ero felice, in quell'età dell'incoscienza.

Forse la scuola, che per me era un rifugio, è lentamente degenerata da far schifo con tutte queste barriere da codice deontologico e burocrazia soffocante. Forse ha ragione quel mio collega rompiballe e idealista, il quale ci esorta in collegio dei docenti a chiederci COME MAI questi ragazzi dotati e brillanti se ne vanno, e viene zittito a male parole perché l'argomento non è all'ordine del giorno.

Vorrei pensare, come in una fiaba, a un lieto fine, di quelli in cui credevo a sedici anni: magari quel mio alunno fonderà la rock band di cui sentiremo parlare di più nel prossimo decennio, e allora io e sua madre rideremo dei nostri timori...

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